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L'investigatore dilettante (prima parte)



Storia del giallo di Salvatore Argiolas

“I miti del romanzo poliziesco soddisfano le nostalgie segrete dell’uomo moderno che, sapendosi decaduto e limitato, sogna di rivelarsi un giorno, un personaggio eccezionale, un eroe” (Mircea Eliade, studioso di storia delle religioni)

E questo eroe, l'investigatore, si dimostrerà un semidio capace di scoprire ogni peccato, di portare la luce nel buio della conoscenza e di costruire da pochi dati un castello di verità e di predizioni che supera ogni tentativo di demolizione.

Non è certo un caso se Sherlock Holmes, già nel suo romanzo d’esordio “Uno studio in rosso” studiando le ceneri di un sigaro Trichinopoly, crea una teoria che gli permette di incastrare l’assassino e che questo oscuro scrutare ricordi da vicino i misteriosi antichi aruspici che dall’esame delle viscere degli animali traevano presagi sul futuro.

Se la figura dell’investigatore assume una grandezza quasi mitologica e demiurgica sempre in bilico tra abilità diabolica e sapienza divina, uno dei primi e più conosciuti detective è stato proprio un prete, il famoso Padre Brown, nato dalla fantasia di Gilbert Keith Chesterton, uno dei più celebri scrittori cattolici che diede un’impronta molto personale alla letteratura inglese della prima metà del ventesimo secolo.



Nella lunga storia del giallo sono tantissimi gli investigatori dilettanti che si occupano delle inchieste che caratterizzano i capolavori del giallo: dai gentiluomini annoiati ai ridicoli immigrati belgi, dai nobili debosciati alle arzille vecchiette ficcanaso, dai carcerati agli ubriaconi, dai depressi commissari dei polizieschi svedesi per arrivare persino ai gatti e ognuno di questi eroi, per riprendere il pensiero di Eliade, non ha virtù intrinseche ma le acquista in funzione dell’inchiesta che dona loro “la grazia” che consegna loro un’aura mistica e ieratica, potenziata dal fatto che solitamente il detective è solo, senza legami di coppia o con legami provvisori e piuttosto intermittenti.

Questo fatto si spiega pensando alla libertà di azione di un detective single senza obblighi di presenza nel tetto coniugale e anche per gestire l’economia delle suspense ma crea anche un richiamo ad un archetipo che resiste e che riporta alle suggestioni religiose.

Nelle sue "Venti regole per scrivere romanzi polizieschi" S. S. Van Dine alle voce n° 6 prescriveva che

"In un romanzo poliziesco ci dev'essere un detective, e un detective non è tale se non indaga e deduce. Il suo compito è quello di riunire gli indizi che possono condurre alla cattura di chi è colpevole del misfatto commesso nel capitolo I. Se il detective non raggiunge il suo scopo attraverso un simile lavoro non ha risolto veramente il problema, come non lo ha risolto lo scolaro che va a copiare nel testo di matematica il risultato finale del problema."

È quasi infinito il numero dei detective non convenzionali che abbiamo trovato nelle pietre miliari del genere a cominciare dal racconto fondante del giallo "Gli assassinii della via Morgue" di Edgar Allan Poe che vede l'apparizione di monsieur Dupin il prototipo di questo personaggio che tanta fortuna avrà nel futuro.

Le differenze tra detective professionisti e dilettanti furono analizzate sin dal 1948 dal poeta Wystan Hugh Auden in un articolo dal titolo “La parrocchia del delitto” che ha il significativo sottotitolo di “Considerazioni di un drogato del giallo”. Secondo Auden

“il detective dovrà essere o il rappresentante ufficiale dell'etica, oppure un individuo d'eccezione lui stesso in stato di grazia. I detective professionista ha il vantaggio di non aver bisogno di alcuna motivazione per indagare sul delitto e lo svantaggio di non poter lasciar passare le piccole violazioni etiche degli indiziati, cosa questa che gli rende più difficile conquistarsi la loro fiducia. (…) Il detective dilettante e geniale può concedersi delle debolezze che gli conferiscano un maggior interesse estetico, purché non siano mai lesive dell'etica. Le debolezze più idonee sono i solitari vizi orali come il mangiare o il bere, oppure una certa millanteria infantile.”

Qui vediamo delineati i tratti caratteristici del detective dilettante: la genialità, la possibilità di avere maggior familiarità con i sospettati e la capacità di dissimulare il suo interesse nell'inchiesta ma al tempo stesso ha necessità di avere una fonte di notizie dettagliate che può avere solo la polizia.

Perciò l'investigatore dilettante dipende in massima parte dall'amicizia con un appartenente della forze dell'ordine con un legame che assicura un flusso di dati ed informazioni sia in entrata che in uscita.

Questa dipendenza venne però superata sempre da Auguste Dupin che nel racconto lungo “Il mistero di Maria Roget” ispirato da un caso realmente accaduto risolve il mistero della scomparsa di una graziosa ragazza senza muoversi da casa, basandosi solo sugli articoli del giornale.

In una nota aggiunta all'edizione in volume dei suoi racconti Poe ha annotato di "aver effettivamente risolto il caso reale" con notevole anticipo rispetto alla polizia anche se recenti studi hanno dimostrato che il caso non è mai stato chiarito sino in fondo.

Un altro investigatore non convenzionale che non ha un canale diretto con la polizia è “Il vecchio nell'angolo un bizzarro personaggio protagonista di alcuni racconti gialli della baronessa Emmuska Orczy (1875-1947).

“Il vecchio nell'angolo” risolve gli enigmi standosene seduto al tavolo d'angolo di un pub e riprende l'archetipo di un altro personaggio caratteristico l'Armchair Detective, l'investigatore da poltrona, che indaga stando a casa oppure senza dover andare a cercare indizi e prove.

Gracile e trasandato il Vecchio trascorre il suo tempo sorseggiando una tazza di tè al pub e ascoltando i racconti di Polly Burton, giovane giornalista dell'Evening Observer, per la quale risolve di volta in volta i vari enigmi.

Il Vecchio vede il crimine come “un'ingegnosa partita a scacchi, con molte intricate mosse che tendono tutte ad un unica soluzione” e nutre quasi sempre una certa comprensione per i criminali.


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Salvatore Argiolas, cagliaritano, ha da sempre nutrito una passione per la lettura e per il giallo, soprattutto quello classico all’inglese, di cui è un vero esperto, ma legge con grande piacere anche l’Hard Boiled e il thriller. Non ama proprio l’horror. Gli piace tantissimo anche la storia e ogni tipo di romanzo, è grande appassionato di musica jazz e di cantautori italiani.







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