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La violenza psicologica, male permanente. Articolo di Tiziana Viganò ©

Questo testo, che ho scritto nel 2012, è stato oggetto di una conferenza che ho tenuto il 13 aprile 2012 presso Palazzo Leone da Perego, Legnano (Organizzazione delle associazioni Caritas, Auser, Centro Italiano Femminile). Purtroppo è sempre attuale.





La violenza psicologica è la forma più sottile, perversa e insidiosa di abuso di una persona sull’altra, perché non ha effetti eclatanti, visibili o documentabili scientificamente: rappresenta una delle più potenti e distruttive forme di esercizio del potere e del controllo sull’altro. Se nelle sue forme più gravi è quindi un tentativo di distruzione psicologica dell’altro, nelle sue forme meno forti è comunque un modo per sottolinearne l’inferiorità, è mancanza di rispetto che mira a lederne l’integrità, fino a fargli perdere la coscienza del proprio valore.
 Le vittime di questa forma di violenza non sono solo le donne, ma anche gli uomini e i bambini: per questo è necessario formare una consapevolezza che stimoli al superamento degli ostacoli culturali e preluda a un cambiamento di mentalità.
 La conoscenza delle dinamiche aiuta a combatterla, perché fa male non meno della violenza fisica e ne è il preludio. Bisogna cambiare il punto di vista: le donne per prime, ma gli uomini, quelli migliori, devono fare la loro parte.

 Spesso la violenza psicologica non viene neppure riconosciuta come tale, anche perché mille sono le sfumature e i gradi in cui si esercita, viene banalizzata o coperta di altri significati, o motivazioni: un esempio “mi fa male, ma comunque mi vuole bene oppure lo fa per il mio bene”.

Non è così, non è mai così: chi agisce la violenza ama solo se stesso e il suo potere sull’altra, anzi, basa il suo essere sul potere/possesso che agisce sull’altra. Ma una relazione sana non si basa su questo: dove c'è violenza non c'è mai amore, ma c'è ben altro. Molte sono le sfumature e i gradi sotto cui si nasconde la violenza psicologica. Un esempio banale: quante volte abbiamo riso alle battute e alle barzellette che sottolineavano la “naturale inferiorità delle donne” soprattutto in certi campi che “naturalmente” vedono i maschi privilegiati? Oppure le affermazioni tipo “ avete voluto la parità?”. Non c’è niente da ridere, la mentalità che c’è dietro queste affermazioni è quella che porta a fatti gravi, perché dietro le parole c’è la struttura profonda delle convinzioni. La violenza psicologica, che, come quella fisica ha come bersaglio principale la donna, è talmente diffusa che voglio provocarvi affermando che TUTTE le donne l’hanno provata almeno qualche volta nella loro vita, chi più, chi meno, chi in modo leggerissimo o leggero, chi in modo pesante, a secondo della loro struttura di carattere e di personalità, più o meno debole, più o meno consapevole di se stessa e del proprio valore come persona.

L'aggressore


Non c’è distinzione di classe sociale, di cultura, di ricchezza: l’aggressore può essere chiunque, anche un insospettabile. Quante volte dopo un episodio di efferata violenza o addirittura un delitto, i vicini dicono sbalorditi “ma sembrava una persona tranquilla, un individuo normale, una famiglia normale”? C’è chi urla e picchia, ma spesso il torturatore non alza la voce e tantomeno le mani; parla pacatamente, ma dice cose che feriscono l’anima anche più delle botte; non accetta di parlare di problemi, perché per lui non sussistono – così la vittima è paralizzata e non può cercare soluzioni – o usa una fredda ostilità; oppure ignora la sua vittima; usa l’ironia e il sarcasmo, o addirittura fa battute divertenti (così eventuali testimoni pensano che non ci sia nulla da preoccuparsi); o deforma sistematicamente quello che la vittima dice o fa. Può disorientare la vittima facendo affermazioni incongruenti: per esempio la prende in giro per il suo aspetto fisico o per quello che fa o per la sua personalità, ma poi dice di aver scherzato, dice che la ama così tanto e non può vivere senza di lei….e la vittima è sempre più confusa di fronte alle contraddizioni che sente. Per i bambini soprattutto questo tipo di comportamento incongruente è totalmente lesivo per la psiche. L’aggressore può negare di fronte ad altri di aver aggredito verbalmente, e la vittima non è più neppure sicura che l’aggressione sia esistita; eventuali testimoni non capiscono la reale portata di quello che accade. Addirittura un aggressore può arrivare a colpevolizzare la vittima ritenendola responsabile di aver istigato la violenza, per esempio con suoi comportamenti, con provocazioni, col suo abbigliamento – quante volte nei processi per stupro la vittima viene considerata l’adescatrice??? Anni fa era la regola, ma oggi è ancora così. Negli anni ’70 ci sono stati processi per stupro in cui si processava anche la vittima commettendo un altro stupro psicologico. Chi agisce la violenza psicologica ha un disturbo di personalità, e utilizza l’altro come bersaglio su cui scaricare i propri conflitti interiori, o lo ritiene un oggetto che deve essere posseduto per mantenere un’illusione di onnipotenza; è un individuo che ha bisogno di sentirsi potente o migliore solo schiacciando un altro, è un debole che cerca una vittima per sentirsi forte, è un frustrato, è un incapace oppure si sente incapace e proietta sull’altro la propria incapacità. Questi individui non sanno relazionarsi. Perché ogni relazione presuppone una reciprocità, il rispetto per la persona e i bisogni dell’altro, il riconoscimento dei suoi diritti. Molti uomini si sentono insicuri contro la sicurezza delle nuove donne e sviluppano una rabbia che negli individui deboli e disturbati sfocia nella violenza. Il bisogno di sopraffazione non è sempre sintomo di psicopatologia, di “follia” o di crudeltà fine a se stessa, perché spesso, pericolosamente, sta dietro alle persone considerate “normali”.

E’ una semplificazione molto rischiosa dire che questi individui sono ”pazzi”, o che hanno agito sotto raptus se sono passati dalla violenza psicologica alla fisica: e comunque la malattia mentale non è una giustificazione. Malattia mentale c’è solo in una piccolissima percentuale di casi, 10% circa. Invece c’è sempre l’assoluta mancanza di rispetto per la persona dell’altro e per i suoi diritti, c’è una mancanza totale di norme etiche – sia religiose che civili -. Spesso dietro questi individui ci sono storie di infanzia violata, traumi e violenze che ciecamente ripetono in una modalità che non ha fine perché cercano di infliggere ad altri le sofferenze che hanno subito: spesso sono persone anche molto intelligenti, lucide, ma anaffettive, incapaci di amare. A volte dietro comportamenti violenti ci sono storie di droga e alcoolismo.




Non bisogna dimenticare che i bambini assistono alle violenze domestiche: da grandi spesso ripeteranno i modelli che hanno imparato, la violenza crea violenza, oppure avranno disturbi dell’affettività.

Questi individui devono essere curati adeguatamente, devono sottoporsi a terapie psicologiche adatte perché, anche se non malati di mente sono comunque individui disturbati: e non guariscono da soli, non si redimono facilmente.


La vittima


E’ difficilissimo accettare che una persona cui vuoi bene ti voglia fare male: o che una persona che dovrebbe amarti voglia il tuo male…. Le donne però hanno una sindrome da crocerossina, pensano di poter guarire con l’amore, si fidano nonostante vedano cose che non vanno, facilmente si sentono in colpa: quasi sempre si illudono di poter cambiare l’altro. Le donne danno la massima importanza al rapporto, al matrimonio, difendono a oltranza i figli e l’integrità della famiglia. E’ molto più semplice dare la colpa a se stesse, pensare di non capire chiaramente come stanno le cose, di non amare abbastanza, di non sopportare abbastanza: chi è vittima sviluppa meccanismi di difesa per non vedere una realtà che sente troppo dolorosa. Ma questa negazione produce uno stato di ansia fortissimo, che può sfociare in irritabilità, agitazione o all’opposto depressione, abulia, convincendo ancora di più il contesto sociale che la vittima sia la persona “fuori di testa” e il maltrattatore l’individuo “normale”.



La vittima di queste forme di abuso si sente inadeguata, non ha autostima, accetta continue umiliazioni, può arrivare ad avere una visione distorta della realtà, dubita di sé, di quello che prova, pensa di dover accettare i comportamenti dell’altro, di doversi rassegnare, per non mettere in pericolo il rapporto oppure la stabilità della famiglia.

A questo punto il pericolo diventa un allarme: la vittima si sente isolata o viene isolata, chi la circonda comincia a dubitare delle sue facoltà mentali e del suo senso della realtà, può tentare di convincerla che si è ingannata, che non ha capito bene, che ha detto o fatto qualcosa che non ha detto o fatto, o che non ha capito la portata dei comportamenti dell’altro.



Queste violenze avvengono per lo più dentro le case, senza testimoni: se questi ci sono spesso non sanno leggere dietro i comportamenti e non ne capiscono l’entità. La vittima si vergogna di essere trattata male- e questo cresce esponenzialmente con lo stato di donne colte e benestanti- ha paura di chiedere aiuto per non incorrere magari nella derisione, ha paura di non essere creduta, spesso viene scoraggiata dalla famiglia o dagli amici: sono tutti elementi di grande pericolo, perché non solo la depressione e l’ansia sono in agguato, ma anche l’autolesionismo, fino al suicidio. 


Senza contare che non denunciare le violenze spesso porta a subirne sempre di più, fino alla violenza fisica e ad esiti fatali, come le cronache ci insegnano. La legge contempla l’abuso psicologico quando uno o più comportamenti, reiterati nel tempo, diventano talmente intrusivi nella vita di una persona che ne è vittima da crearle disturbi emotivi e comportamentali e stravolgere il regolare funzionamento della sua vita e del suo equilibrio psichico. C’è però il problema dell’ impossibilità di una tutela senza prove della violenza psicologica, senza le evidenti lesioni fisiche dimostrabili in sede giudiziaria, e i tempi di attesa dei procedimenti legali sono così lunghi che la denuncia può diventare poco efficace: questo paralizza la vittima e le dà la percezione di dover continuare a subire senza poter uscire da una situazione tremenda. Ma la denuncia, possibilmente suffragata da prove, è l’unica arma possibile di difesa: oltre, naturalmente alla presa di coscienza, a cambiamenti di vita e di mentalità, all’allontanamento dall’aggressore – cosa questa resa possibile dalla legge. Si deve premere sugli organi competenti perché il personale delle forze dell’ordine, dei medici e degli infermieri, soprattutto quelli del pronto soccorso, e delle associazioni di volontariato abbia la formazione psicologica adatta ad accogliere le vittime con gli strumenti adeguati e la giusta competenza. Non è facile trattare una persona che ha subito violenza. Bisogna anche assicurare alle vittime un adeguato sostegno psicologico: da sole non possono farcela.

Lo stalking

Lo stalking (letteralmente “fare la posta” a una preda di caccia) è una forma di persecuzione che si basa su telefonate, biglietti, mail, sms, appostamenti, pedinamenti, molestie e minacce: tutto questo con i caratteri dell’ossessione, dell’ intimidazione, dell’ingiuria, dell’intrusione nella vita della vittima nei luoghi che frequenta: per definire lo stalking il comportamento deve essere grave e ripetuto più volte. Spesso questo è il preludio di aggressioni anche fisiche, fino all’omicidio - circa il 10% degli omicidi volontari. La prima legge contro questa forma di violenza diffusissima è stata approvata in California nel 1991, dopo l’assassinio di due attrici; nel 1997 in Gran Bretagna e in Canada; nel 2009 in Italia è diventato un reato punibile con il carcere, fino a 4 anni di reclusione secondo l’ art. 612 bis del codice penale. Le statistiche dicono che milioni di italiani siano vittime di questi comportamenti e si stima che il 21,5% delle donne fra i 16 e i 70 anni (pari a 2 milioni 151 mila) subisca atti intimidatori, soprattutto da parte degli ex, coniugi, fidanzati, corteggiatori respinti (circa il 55%) ma anche, in minor misura nel 25% condomini e vicini di casa, nel 15% dei casi colleghi e compagni di scuola, nel 5% famigliari. Lo stalker non è un malato di mente se non in un ridottissimo 10% dei casi: spesso ha un disturbo dell’attaccamento, con gravissime carenze affettive o traumi – lutti perdite separazioni - fin dall’infanzia, per cui 1) ha un disperato bisogno di affetto; non può accettare di essere respinto e di rinunciare al suo oggetto di attaccamento, che perseguita per risentimento e rancore; 2) ha difficoltà nello stabilire rapporti interpersonali e relazioni affettive normali e positive, 3) considera la sua vittima una preda da possedere e gode nell’incutere ansia e paura. Non è un malato di mente ma ha bisogno di psicoterapia oltre che di condanna, perché il suo disturbo psicologico è molto profondo e lo porterà a ripetere il comportamento in futuro. Anche se la vittima ignora questi comportamenti, non risponde, è passiva, finge indifferenza, ottiene il risultato contrario perché lo stalker cerca morbosamente l’attenzione; anche l’apparente remissività, la finta comprensione non sono sempre utili, mentre molto pericolosa è la reazione aggressiva che può scatenare attacchi violenti.

Si può definire come una serie di comportamenti e abusi, reiterati nel tempo, che hanno come obiettivo quello di espellere un lavoratore dall'azienda, costringendolo a dimissioni forzate; per esempio per evitare un licenziamento, per ritorsione di fronte a comportamenti non condivisi, per rifiuto della vittima a sottostare a richieste immorali o illegali…. La pressione psicologica può essere esercitata dal datore di lavoro oppure dai colleghi. Le azioni per ottenere l'espulsione dal lavoro della vittima sono diverse: dequalificazione nelle mansioni, mancata assegnazione di compiti, sottrazione di strumenti di lavoro che portano a una inattività forzata, mancato accesso a informazioni, esclusione da forme di riqualificazione e aggiornamento, eccessivo controllo, disconoscimento dei suoi diritti, cambiamento di sede forzato. Anche se non esiste ancora una legge che tuteli le vittime del mobbing ci sono comunque norme giuridiche che vietano comportamenti lesivi della integrità psicofisica e obbligano al risarcimento del danno economico, fisico e biologico. Forme di mobbing possono avvenire anche al di fuori del posto di lavoro, anche in famiglia, quando con pressioni e soprusi gravi di vario genere si induce una persona ad autoescludersi da un gruppo.

• Depressione e ansia • Rabbia e eccessiva irritabilità • Fobie e attacchi di panico • Disturbi del sonno e della memoria • Scarsa autostima • Disturbi dell’alimentazione • Abuso di alcool e droghe • Disturbi psicosomatici e fisici • Inattività fisica, abulia • Distacco emotivo • Disperazione • Disturbo post-traumatico da stress (rivivere il trauma, stati dissociativi, perdita del senso della realtà, incapacità di concentrazione, mania di persecuzione, amnesia…..) • Comportamento autolesionista grave • Omicidio • Suicidio

Strategie e modi della violenza psicologica

(ripetuti nel tempo e gravi)

• Con gesti o con parole: svalutare, denigrare, disprezzare, deridere, umiliare, screditare, considerare una persona inadeguata (per es. come madre, come figlio, ma anche come padre….) • Coercizione, privazione della libertà personale, sequestro, ipercontrollo, violazione della privacy • Indifferenza, trascuratezza, noncuranza, esclusione, abbandono, rifiuto dell’ascolto • Isolare una persona (impedirle di uscire, di andare a scuola, in chiesa, al lavoro, di vedere amici o famigliari, toglierle il telefono, privarla dei documenti di identità) • Danneggiare cose, animali o, peggio, persone care alla vittima, o anche minacciare di farlo • Gelosia patologica, vissuta come offesa, sgarro, ossessione • Ricattare, tradire la fiducia, manipolare, truffare (anche le menzogne reiterate e gravi sono una forma di violenza, se significano mancare di rispetto all’altro). • Colpevolizzare una persona, instillarle senso di colpa, vero o presunto. • Compiere abusi nelle punizioni, nella correzione e disciplina (a scuola, in famiglia, sul lavoro, ma anche in una casa di riposo, per es.) • Stalking, persecuzione, ossessione • Intimidazioni sul posto di lavoro, mobbing • Violenza economica ( vietare la libertà di lavorare, sfruttare il lavoro altrui, privare del denaro o controllarlo eccessivamente, impedire l’accesso al conto bancario della famiglia, accollare a una persona i propri debiti, non sostenere un familiare in difficoltà)

Testo della conferenza tenuta da Tiziana Viganò
13 aprile 2012 - Palazzo Leone da Perego, Legnano
Organizzazione delle associazioni Caritas, Auser, Cif (centro italiano femminile)

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