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Sulla violenza di genere, fisica e psicologica. Articolo di Tiziana Viganò ©




Leggendo le statistiche riguardanti il femminicidio e la violenza di genere è necessario fare riflessioni di carattere sociale e politico, psicologico e pedagogico con l’obiettivo di costruire strategie di lotta alla violenza di genere.

Una lotta che parte dalla domanda che ognuno di noi, maschi e femmine dobbiamo porci: da dove parte la spinta alla violenza? Perché è dall’analisi delle cause che possiamo più efficacemente agire contro questo fenomeno, che sembra essere sempre più diffuso, sia perché molte più donne hanno il coraggio di sporgere denuncia, sia perché i media pongono l’attenzione sui fatti che accadono quasi ogni giorno.


La lotta comincia sradicando una base culturale che è introiettata in ciascuno di noi fin dall’infanzia. E’ l’idea che la donna è inferiore all’uomo, che non abbia diritto all’autonomia e all’autodeterminazione, che dipenda dall’uomo che ne è padrone.

Molti di noi pensano di avere superato questa convinzione, ma non è così.


Una parola, una barzelletta, un gesto dicono che questi concetti sono ancora molto saldi, anche se a livello inconscio, perché la maggior parte delle persone, maschi e femmine, a livello conscio, razionale, affermano di essere contro la violenza e per la difesa della donna, ma poi nella realtà di tutti i giorni accettano comportamenti, parole e immagini che sono esattamente l’opposto. E non solo quest’idea è radicata nel profondo degli uomini, ma anche nelle stesse donne, che in questo modo si fanno inconsapevoli complici della cultura che le discrimina.

Faccio un esempio che mi è capitato di leggere pochi giorni fa su facebook, postato da una ragazza di 25 anni che diceva testualmente:

“Quanto mi fa incazzare sentire al tg la giornalista che parla dell'ennesimo caso di "stupro" parlando della vittima come la "povera ragazzina diciassettenne che viene stuprata"...la piccola diciassettenne era conciata da zoccola con microgonna inesistente che mi fa domandare se i genitori vedono come escono le loro figlie ... era ubriaca persa secondo le testimonianze e l'hanno addirittura trovata in coma etilico...era già nuda poiché si era già imboscata con un altro e con chissà quanti altri si era strusciata intanto...ora non voglio giustificare lo schifo dello stupro...però non parlatemi di una povera piccola ragazzina perché mi fa proprio incazzare...le ragazze di oggi non si capisce che cosa hanno in testa… io sono dalla parte delle donne che non fanno vergognare di essere donne... non si può andare in coma etilico a 17 anni... non ci si può comportare in tal modo e pretendere l'appellativo "bimba" quando bimba non lo si è...ti ripeto ..mi dispiace per lei ..molto ...mi infastidisce il modo in cui se ne parla...l'aureola di innocenza che le si vuole creare intorno. E quest'altra... professore che fa sesso con le allieve...ma non le ha prese con la forza...è un uomo di dubbia morale per tanti motivi ma le minorenni ci sono andate a letto per alzare un voto....ma ci rendiamo conto?”

No comment.

I dati dell’Istat dicono che più del 30% delle donne italiane tra i 16 e i 70 anni ha subito violenza fisica e/o sessuale, nella maggior parte dei casi le violenze avvengono tra le mura domestiche e non vengono svelate; gli stupri sono più frequenti da parte di conoscenti che di sconosciuti. E’ nell’ambito di relazioni importanti per i soggetti che avvengono fatti di violenza: una falsa concezione dell’amore si mescola a paura, dolore, impotenza, senso di colpa, doverismo.


Molte, troppe donne vivono ancora nelle periferie dell’esistenza.

Molte donne non hanno la forza o la capacità per mettere al primo posto nei valori della vita il rispetto di sé, per lottare contro chi lo viola.

L’approccio al problema della violenza di genere deve essere multidisciplinare, ma anche avere un obiettivo raggiungibile per molte vie.

La violenza è di chi la subisce, di chi la agisce, di chi la assiste.

Nessuno nasce vittima, ma può diventarlo dopo lunghi periodi in cui è sottoposta a manipolazione e condizionamento da parte di un soggetto verso cui prova un forte legame affettivo. Può essere tra un uomo e una donna adulta, ma anche tra padre e figlia o tra altri tipi di legame.

E non va dimenticato che la violenza agita non è solo appannaggio maschile: molti sono gli uomini che subiscono violenza da parte di donne, nella maggior parte dei casi violenza psicologica (verbale, molestie, stalking, sottrazione dei figli, pedinamenti) più che fisica, data l'evidente inferiorità muscolare delle donne.

Si parte di solito da un rapporto apparentemente positivo: attraverso fasi in cui l’abusante si appropria della personalità della vittima, la convince della sua inferiorità, della sua dipendenza, la isola dal contesto sociale, piano piano il dominante comincia a controllare completamente la vita della vittima con aggressioni, privazioni, minacce, obblighi degradanti, perversioni, comportamenti incongruenti (per esempio amabilità alternata a maltrattamenti) in modo da diventare il centro di attenzione della sua mente e della sua vita. Privata dell’ autostima e della capacità di autodeterminarsi, la vittima perde autorevolezza e stima, se madre anche da parte dei figli: diventa passiva, incapace di reazione, impotente, completamente trasformata in un’altra persona


Se questo è un processo di vittimizzazione grave, estremo, ci sono metodi molto meno eclatanti, che quasi non vengono notati nel contesto sociale, anzi, sembrano “normali” o non vengono neanche notati.

Si comincia con una parola denigrante, cretina, deficiente, oca, puttana…umiliando e convincendo la donna che da sola non ce la può fare; con scenate di gelosia assurde; con urla esagerate, gesti inconsulti; la vittima diventa debole, depressa, malata perché retroflette contro di sé la rabbia, lo sconforto, l’impotenza in nome della stabilità della famiglia. Spesso non ha i mezzi economici per essere autonoma, perché i suoi stipendi sono inferiori a quelli maschili, o non trova lavoro. Succede sempre perché in molte fasce della popolazione è culturalmente relegata al ruolo di moglie e madre, con il carico domestico e familiare. Perché è palese che persiste ancora nella società una percezione del femminile antiquata, ancora patriarcale, da cui ha origine la violenza: spesso sono le donne stesse ad alimentare questa immagine di donna sottomessa, che tutto sopporta per il bene della famiglia, che non si sente pronta ad affrontare il mondo senza il sostegno di un maschio, che china la testa alla violenza psicologica quasi non fosse ancora diventata consapevole del pericolo che tale violenza sia spesso un preludio a fatti di sangue. O diventano “complici” perché si uniscono al coro denigratorio della società, come abbiamo visto nell’esempio citato all’inizio.


Bisogna lavorare contro il tenace pregiudizio secondo cui la moglie e madre ha il dovere e il “destino” di prendersi cura dei propri figli. Occorre trovare un equilibrio tra maternità, attitudini, capacità di affermazione nel lavoro e nella società: questo richiede un percorso educativo contro la cultura dominante ed è un obiettivo fondamentale che richiede l’appoggio di servizi erogati dallo Stato, come succede in molti paesi europei più avanzati del nostro nelle politiche per la donna e la famiglia.

E non bisogna dimenticare che i bambini, oltre che ad essere vittime di violenza, particolarmente odiosa e inaccettabile, spesso sono anche vittime per violenza assistita, cioè sono testimoni delle violenze che avvengono in ambito domestico.



Se da una parte ci sono donne affermate, socialmente, culturalmente ed economicamente, dall’altra c’è una massa che dipende e si sente dipendente dall’uomo. Ancora oggi la categoria di donne che raggiungono il potere e la partecipazione ai processi decisionali in alto loco deve subire discriminazione e lottare con tutte le forze per mantenere le posizioni raggiunte. E sono ancora troppo poche.

Il “tetto di cristallo” impedisce ancora oggi alle donne di arrivare e rimanere ai vertici del potere, e l’Italia sembra essere molto indietro rispetto ad altri Paesi del Mondo.

La metamorfosi femminile, cominciata quarant’anni fa e non ancora conclusa per gli ostacoli che la cultura e la società pongono ancora all’emancipazione e alla libertà della donna viene ancora vissuta dagli uomini come una minaccia alla propria virilità, al proprio diritto al dominio e alla superiorità sulla donna.

Un processo di crescita e di autonomia può essere raggiunto solo attraverso un forte cambiamento culturale che coinvolga tutta la società, i mass media e le istituzioni, con un rafforzamento dell’immagine femminile positiva e non stereotipata, descritta nella sua realtà, nel suo ruolo e nel suo progresso.



Prima ancora del femminicidio bisogna considerare tutte le forme di discriminazione e violenza psicologica che annullano la personalità della donna in quanto tale e ne limitano la libertà sul piano fisico, psicologico, economico e sociale, quindi non solo in famiglia, ma anche sul posto di lavoro.

Chiediamoci quanto è difficile ricostruirsi una vita e una identità dopo esperienze distruttive come la violenza e la discriminazione. Il percorso deve essere sostenuto in sedi assolutamente specializzate e opportunamente addestrate perché dopo un lungo iter psicoterapico - dopo aver affrontato i traumi, elaborato lutto, separazione, perdita, recuperato autostima e coscienza di sé, superato il senso di colpa….- è necessario che la donna sia aiutata a ricostruire se stessa, la propria vita materiale e nuovi legami affettivi ….un viaggio lungo, faticoso e doloroso.

Tanti sono i modi del femminicidio: l’uomo non ha intenzione di uccidere, ma la morte è conseguenza delle violenze o incidentalmente di una caduta; l’uomo perde il controllo e uccide sapendo ciò che fa; l’uomo architetta un piano preciso prima di agire; violenza, stupro e morte nell’omicidio di gruppo; altri casi che le cronache purtroppo riportano di continuo, quando una donna viene uccisa per essere sostituita da un’altra più bella, più giovane, più ricca, o semplicemente perché il maschio, marito, amante vuole essere “libero” e trova la via più sicura per eliminare l’ostacolo, la morte. I thriller che il cinema e la tv ci propongono ogni giorno spesso sono ispirati a fatti reali, perché la realtà supera la fantasia.



Era una regola nel passato, ma ancora oggi succede che la gente racconti i femminicidi trovando “giustificazioni” per il maschio assassino, come se la vittima fosse lui o come se il suo “onore” fosse stato violato. La donna da vittima diventa imputata del fatto, perché ha provocato con atteggiamenti o abiti succinti, ha istigato la violenza perché il maschio "ha la carne debole", ha "gli ormoni che lo spingono", come se potesse essere giustificato il mancato uso del cervello, della ragione, dell’etica e dell’autocontrollo. E’ un atteggiamento radicato profondamente, che sento continuamente esprimere dagli uomini – e anche dalle donne, come si vede nel pezzo che ho riportato in precedenza- che mi scandalizza profondamente e che secondo me va combattuto con tutte le forze.



Nel Codice Penale, art. 587 – il Codice Rocco, 1930 – era prevista una diminuizione della pena per il cosiddetto “delitto d’onore”. “Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell'atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d'ira determinato dall'offesa recata all'onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella”. La violenza sessuale veniva annullata con il “matrimonio riparatore”.
Bisogna aspettare il 1981 perché queste leggi vengano abrogate con la legge 442.


E’ importante capire che dietro ai delitti non sempre ci sono gravi disturbi di personalità o raptus: ma occorre prevenire e insegnare ai soggetti deboli quei segnali che possano metterli in allarme e fare in modo che riconoscano i pericoli prima che finiscano in dramma o tragedia.

E’ importante anche capire che per trattare i casi di violenza, agita o subita, ci vogliono specialisti in grado di comprendere e trattare opportunamente i soggetti coinvolti, supportare per lungo tempo le vittime, imporre un trattamento psichiatrico ai soggetti violenti: quindi è necessario organizzare un’opera di informazione e aggiornamento di quei soggetti che sono preposti all’accoglienza delle vittime, dalle forze dell’ordine, ai medici e infermieri, ai membri delle associazioni di volontariato. Un lavoro molto importante e impegnativo.

Perché il problema, da psichiatrico, diventa sociale.


Semplificando molto voglio tracciare un profilo psicologico di soggetti che sono a maggior rischio di violenza e della personalità criminale che arriva all’assassinio – secondo il DSM IV, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali -. E’ fondamentale tener presente che il grado di intensità in cui si manifestano le caratteristiche sotto indicate può essere molto variabile: il soggetto può manifestare alcuni tratti più o meno marcati, a seconda della gravità del suo disturbo, ma resta il fatto che di fronte a un certo numero di azioni come quelle indicate, se reiterate nel tempo e con una certa intensità, occorre prestare attenzione, allarmarsi, rivolgersi a centri specializzati, a psicologi e psichiatri, assistenti sociali, per poter chiarire il tipo di disturbo di personalità e la sua possibile pericolosità. Ovviamente anche altri tipi di personalità disturbata possono essere agenti di atti di violenza.


Il disturbo di personalità antisociale (un tempo definito come psicopatia e sociopatia) può manifestarsi con disturbi di condotta anche prima dei 15 anni: è caratterizzato da almeno 3 delle seguenti manifestazioni:


1. incapacità di osservare le leggi e le regole della società

2. il soggetto è disonesto, truffatore, mentitore, manipolatore e gode ad essere tale (commette reati come aggressione a persone o animali, distrugge cose, ruba, truffa, molesta, minaccia, abusa della fiducia altrui)

3. il soggetto è impulsivo, irritabile, collerico, aggressivo, non si controlla

4. non tiene conto delle conseguenze delle sue azioni né della sofferenza che procura agli altri

5. non ha senso di responsabilità (non riesce a conservare un lavoro regolare, a mantenere una relazione, a pagare i debiti, sperpera il denaro familiare per uso personale)

6. se è genitore non si cura dei figli, della loro nutrizione e igiene, li maltratta, li abbandona

7. non riesce a fare progetti realistici per il futuro (trovare un lavoro, abitare nello stesso luogo, creare una famiglia, fare un viaggio con un progetto preciso)

8. non si cura della sicurezza propria e degli altri

9. fa uso di droghe, alcool farmaci e compie azioni pericolose sotto l’influsso di queste sostanze

10. non prova rimorso, senso di colpa, è indifferente alle emozioni altrui, le sue emozioni sono “congelate” (pensa di aver ragione a ferire, maltrattare, derubare gli altri)


Spesso questi individui sono molto intelligenti, fascinosi, parlano bene, hanno grandi capacità di persuadere e manipolare gli altri, a volte hanno qualità da leader e riescono, con un certo malsano grado di autorevolezza a piegare la volontà di soggetti deboli, sono capaci di attendere il momento opportuno per azzannare la preda. Sono individui “gonfiati”, con un ego ipertrofico, si preoccupano solo di se stessi e disprezzano gli altri; non sono emotivi, sono insensibili anche alle condanne, non sopportano di essere umiliati, appena sentono un’esigenza, devono passare all’azione per soddisfarla.


Spesso nelle storie passate di questi soggetti ci sono esperienze di abusi e violenze, traumi importanti, punizioni, vergogna, umiliazioni, agite contro di loro soprattutto da figure importanti della vita infantile, oppure provengono da un ambiente criminogeno.

Quando un bambino o una bambina assistono a scene di violenza in famiglia o essi stessi subiscono violenza, è più facile che poi da adulti utilizzino la violenza quando si trovano in condizioni di stress, una offesa/difesa che riproduce comportamenti conosciuti: e ovviamente i maschi sono più propensi alla violenza fisica rispetto alle donne in relazione alla loro forza muscolare, ma le donne sono abili nella violenza psicologica - e ovviamente possono essere assassine -.


Altra cosa sono i soggetti che possono agire violenza psicologica, meno eclatante, ma distruttiva per la psiche della vittima: possono presentare disturbi del comportamento e della personalità, arrivare al grado di gravità del disturbo antisociale, ma molto spesso si presentano come del tutto “normali”. Spesso i media riportano fatti clamorosi e dicono che i vicini sono stupiti perché la famiglia, le persone coinvolte non davano segni di disadattamento. Eppure….


E’ quindi necessario aiutare le donne ad acquisire conoscenza e consapevolezza, aprire gli occhi, identificare i pericoli e proteggersi per non arrivare troppo tardi a piangere le vittime.

Da una parte ci sono quelle più forti che riescono a uscire da relazioni violente e a denunciarle, ma ce ne sono tante, troppe che non riescono a prendere le distanze e fuggire da uomini violenti, non si tutelano, non leggono (o non sanno leggere) i segnali che preannunciano la catastrofe; ci sono donne dipendenti che non riescono a vedersi autonome, donne che tollerano, giustificano o sopportano alcuni comportamenti; donne che sono “vittime designate”.

Di recente una donna è stata ferita con un colpo di pistola al fianco: non ha fatto nulla, è andata a dormire vicino al suo assassino: la mattina dopo questi le ha sparato ancora al petto. Solo la madre di lei pur schivando i colpi del mostro è riuscita a portare la figlia in ospedale dove è morta dopo una settimana d'agonia. Sembra incredibile, ma la verità è che alcune donne chiudono gli occhi fino a questo punto, subiscono fino a morire così. Una donna che subisce violenza non sa autotutelarsi, è annientata, non ha più autostima: questi sono punti fondamentale su cui bisogna lavorare psicologicamente e supportare fortemente e con continuità.



Bisogna “educare” le donne a individuare le situazioni rischiose, i comportamenti allarmanti, per mettere in discussione una relazione che non è amorosa, ma pericolosa: l’amore non cambia la personalità, un uomo violento non cambia per amore, la donna crocerossina si mette nei guai.
Meglio essere prudenti, cercare aiuto, chiedere a chi è esperto.

E questo non vale solo per le donne adulte: a mio avviso l’educazione va cominciata il più presto possibile, da persone competenti, è ovvio, anche dalla 5° classe elementare, prendendo spunto dai fatti che ormai anche i bambini sono esposti ad ascoltare dai media, perché il cambiamento della cultura che porta alla violenza cominci ad essere introiettata fin da piccoli, proprio perché è da bambini che si forma la personalità che alla violenza è destinata.



Non c'è mai da illudersi che una persona possa cambiare - neppure con l'amore -. Perché il cambiamento si può ottenere solo con un atto di volontà forte del soggetto stesso e un lavoro psicologico duro, doloroso e faticoso fatto su se stessi. 

Per questo gli organi competenti dovrebbero sottolineare l'importanza del trattamento psicologico e psichiatrico dei soggetti violenti, imporlo per legge, sostenere chi lo esegue e i centri specializzati, ed educare i maschi, fin da piccoli, a una nuova mentalità.


Educazione al rispetto della persona, fondamentale per maschi e femmine.




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