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"La volontà di evasione nel giallo inglese del primo dopoguerra" di Salvatore Argiolas -

Storia del giallo inglese


La maggiori critiche al giallo inglese della cosiddetta Età d'oro della detection sono state mosse alla scarsa, se non nulla attenzione alla resa realistica della crudeltà dell'omicidio, che è sempre stato rappresentato in modo asettico e indolore.

Anch'io ho sollevato le stesse perplessità ma piano piano ho capito il bisogno degli scrittori e dei lettori inglesi di esorcizzare gli orrori e i massacri accaduti nella Grande Guerra, quella che Papa Benedetto XV definì “inutile strage”.

Per rendersi conto di quanto fosse forte lo strazio causato dalla guerra che causò circa un milione di morti nel Regno Unito basta leggere qualche strofa di uno dei “War Poets” che parteciparono al conflitto e che rendono alla perfezione l'angoscia che ogni soldato viveva in ogni secondo al fronte.

Dulce et decorum est” di Wilfred Owen, morto qualche giorno prima della fine della Grande Guerra è un manifesto della follia dell'umanità che si uccide per futili motivi e riprende un verso di Orazio, capovolgendo il senso, rendendolo ironico e definendolo “l'antica bugia":



“Piegati in due, come vecchi straccioni, sacco in spalla,
le ginocchia ricurve, tossendo come megere, imprecavamo nel fango,
finché volgemmo le spalle all'ossessivo bagliore delle esplosioni
e verso il nostro lontano riposo cominciammo ad arrancare.
Gli uomini marciavano addormentati. Molti, persi gli stivali,
procedevano claudicanti, calzati di sangue. Tutti finirono
azzoppati; tutti orbi; ubriachi di stanchezza; sordi persino al sibilo
di stanche granate che cadevano lontane indietro.
 
Il GAS! IL GAS! Svelti ragazzi! - Come in estasi annasparono,
infilandosi appena in tempo i goffi elmetti;
ma ci fu uno che continuava a gridare e a inciampare
dimenandosi come in mezzo alle fiamme o alla calce...
Confusamente, attraverso l'oblò di vetro appannato e la densa luce verdastra
come in un mare verde, lo vidi annegare.”

Ora, quasi tutti i giallisti che si cimentarono nel genere in quel nefasto periodo ebbero qualche parente, amico o conoscente impegnato nei campi arrossati dal sangue in Francia o negli altri fronti. Anche alcuni scrittori parteciparono in prima persona al conflitto come Ronald Gorell, Henry Wade e Anthony Berkeley, che sino alla fine della sua vita soffrì delle conseguenze dei gas tedeschi, furono feriti come successe al fratello di Agatha Christie e al compagno di Dorothy Sayers.

Questo atteggiamento teso ad esorcizzare le tenebre belliche fu chiamato "escapismo" che deriva dal verbo inglese (to) escape e viene definito dallo Zingarelli “Il complesso di ciò che si riferisce all’evasione intesa in senso psicologico, cioè alla fuga dai problemi della realtà”.

Scrive Martin Edwards nel suo saggio “The Golden Age of Murder”, nel capitolo “Echoes of War”:

“La guerra ebbe un impatto sulla narrativa gialla in un modo inatteso. La morte violenta è centrale in un romanzo che riguarda un omicidio ma gli scrittori dell'età dell'Oro e i loro lettori non avevano voglia o bisogno di sporcarsi con il sangue. Ne avevano incontrato abbastanza per tutta la loro esistenza. I puzzle senza spargimento di sangue dei gialli del primo dopoguerra sono stati spesso derisi dagli spietati commentatori che dimenticavano che dopo tutti i massacri sui campi di battaglia i sopravvissuti avevano necessità di un cambio radicale di interessi e in tanti gialli della scuola inglese, l'omicidio è qualcosa di pulito, senza sangue, molto inodore e insapore, insondabile come una X in un'equazione."

Dorothy Sayers, una delle più eminenti gialliste nel suo “Bellona Club” del 1921, ambientato in un club di militari (non per nulla Bellona era la dea romana della guerra) mette in evidenza l'insensatezza della guerra facendo dire ad un suo personaggio

“Si può sapere qual è l'utilità di tutto questo, Wimsey, dannazione? Un tizio va a combattere per il suo paese, si ritrova con gli intestini avvelenati dal gas, perde l'impiego, e tutto quello che gli danno è il privilegio di sfilare marciando davanti al Cenotafio una volta all'anno e di versare quattro scellini su ogni sterlina all'ufficio delle tasse.”

Echi dell'enorme impatto del conflitto nell'opinione pubblica inglese emergono anche nel recente “Piume bianche” di Jacqueline Winspear (Neri Pozza, 2022) dove una catena di delitti è causata da comportamenti tenuti in quegli anni così tragici.

Nel 1972, nel tentativo di elevare la statura del "romanzo poliziesco", l'influente scrittore e critico di gialli Julian Symons espose numerosi scrittori di romanzi polizieschi della Golden Age alla perdizione letteraria additando i loro libri come "humdrums", condannando la loro attenzione alle trame puzzle piuttosto che alla scrittura elegante e alle esplorazioni di personaggi, ambientazione e tema visto che l'Oxford Dictionary assegna a “humdrum” il significato di noioso, monotono.

Si sa che Symons non amava molto il giallo deduttivo ma uno scrittore premiato con il Nobel come Kazuo Ishiguro ha difeso questo genere così amato facendo notare che

“gli scrittori e i lettori della Golden Age hanno visto le facce dei mali moderni: nazionalismo dilagante, sete di sangue, razzismo, massacri disumanizzanti agevolati dalla tecnologia, caos incontrollabile. I romanzi della Golden Age sono colmi del desiderio di un mondo regolato dall'ordine e dalla giustizia, in cui l'umanità faceva affidamento e ora sapeva fosse irrealizzabile. Si tratta di escapismo, ma escapismo di un tipo molto commovente.”

Ishiguro con le sue parole colme di nostalgia e comprensione fa capire quanto sia grande l'universo narrativo ed emotivo dei gialli scritti nel primo dopoguerra e la loro funzione lenitiva di un passato recente troppo doloroso da rivivere, sia pure nella finzione narrativa.



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